L’articolo, pubblicato sul sito Vanity Fair, elogia le start up al femminile, in espansione.
“Sono ancora poche, ma, assicurano dall’incubatore di Luiss Enlabs, le giovani startupper italiane sono eccellenti. È recente il riconoscimento de Le Cicogne, italianissime e già comparse su Financial Times e New York Times. Oppure Atooma, fondata da Gioia Pistola, nominata tra le 100 migliori imprenditrici digitali d’Europa dall’European Startup Monitor.
Ma nonostante i successi, fanno fatica a emergere anche perché incontrano ostacoli fin dal periodo universitario. Le brave studentesse italiane, che si laureano prima e meglio dei colleghi maschi, rappresentano il 60% dei laureati, con voti in media più alti dei ragazzi (in tutte le discipline). Poi, però, non trovano lavoro.
Le differenze tra i due generi emergono già ad un anno dalla laurea: seppur più preparate, con più stage e tirocini alle spalle, con ottime performance accademiche, secondo i dati di AlmaLaurea, tra i laureati magistrali le differenze in termini occupazionali sono di oltre 7 punti percentuali: lavorano il 52,5% delle studentesse e il 60% degli studenti maschi. Questi numeri si rispecchiano anche livello nazionale nei dati Istat: nel nostro Paese lavora ancora meno di una donna su due: precisamente il 48,6%.
A pesare al momento dell’assunzione sicuramente lo «spettro della maternità»: la possibilità che l’impiegata – prima o poi – decida di fare un figlio. Tradotto in linguaggio aziendale: che decida di sobbarcarsi da sola tutto il carico di cura del nuovo nato, con la pretesa di chiedere maternità, allattamento, osando magari con un part time e permessi per la malattia del bimbo.
Come superare allora l’ostacolo assunzione e non essere messe da parte? Auto-assumendosi! Per tante, che hanno studiato e che non possono immaginare un futuro senza lavoro né senza stipendio, la soluzione è creare una propria azienda. «Le donne in Italia fanno impresa principalmente per darsi un lavoro e se lo fanno scelgono di solito ambiti tradizionali, di servizio, di cura» spiega Tiziana Pompei, vice segretario generale di Unioncamere.
Nel nostro Paese secondo i dati elaborati da Unioncamere-InfoCamere le imprese femminili (oltre 1,3 milioni a fine settembre 2016) rappresentano il 21,74% del totale. In pratica sono 1 su 5. E le aziende guidate da donne di meno di 35 anni (168.797 a fine settembre) rappresentano invece il 28,4% del totale delle imprese guidate dai giovani. In pratica, sono più di una su 4. Ma il futuro, lo sappiamo, è nella tecnologia, nell’IT, nel digitale. Tra le start up innovative, registrate al 30 settembre 2016 (6.363 in totale), la componente femminile complessiva è di 882 imprese, pari al 13,9% del totale. Considerando però le sole start up innovative guidate da giovani under 35 (1.425 a fine settembre 2016), la rappresentanza di giovani donne innovative si ferma a 226 imprese, il 15,9% del totale delle start up innovative di giovani. Poche, anche se sempre di più.
Secondo alcuni dati di Harvard, dei laureati in Computer Science solo il 18% sono donne e solo 1/3 lavora nel settore tech dopo 2 anni. Perché? Per gli stereotipi di genere. «Le donne fanno più fatica a entrare nel mercato del lavoro e spesso per le gravidanze devono anche uscirne a causa di problemi di gestione. E quando rientrano fanno impresa, per questo le ragazze che fondano startup innovative nel nostro Paese non sono giovanissime» sottolinea Pompei.
Dove «crescono» le startup? Negli acceleratori d’impresa: dove le idee imprenditoriali vengono selezionate e se valutate positivamente vengono «incubate» per un periodo limitato, da 3 a 6 mesi. L’acceleratore più grande d’Europa è Luiss Enlabs e secondo il suo fondatore Luigi Capello «i numeri italiani si equivalgono con quelli della Silicon Valley: anche da noi abbiamo tra il 14 e il 15% delle founder donna. Quindi seguiamo un trend mondiale. I ragazzi si prendono più rischi, le ragazze vanno con i piedi di piombo: è nell’educazione, nel dna» riflette il ceo di LVenture Group e founder di Luiss Enlabs.
Un altro ottimo incubatore è Digital Magics che ha accelerato oltre 70 startup. Tra queste il 15% ha un fondatore o ceo donna. Come Felicia Palombo, 38 anni, general Manager di Viniamo; Anna Zocco, 48 anni, fondatrice e ceo di Diet to go e Maria Vincenza Gargiulo, 28 anni, co-fondatrice e chief food analyst di Edo, un’app mobile che analizza i codici a barre degli alimenti e dice al singolo utente quanto siano salutari per la propria salute.
Secondo Linda Serra (nella foto), ceo e founder di Work Wide Women, startup accelerata dal TIM WCamp di Bologna «magari siamo meno degli uomini, ma le startup fondate da donne riescono a superare meglio la crisi economica e crescono in maniera più solida. Le donne riescono a guidare un’azienda in maniera più concreta e di solito le “imprese rosa” rischiano di meno il fallimento».”
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